La storia della pietra

S. Andrea di Conza vanta uno dei primissimi posti nella nostra provincia di Avellino per la lavorazione della pietra, che ha rappresentato per moltissimi anni la fonte primaria dell’economia sant’andreana.
Questa attività è favorita dalla presenza di montagne, da cui si ricava pietra pregiata, nota anche nei paesi vicini. La più famosa di queste cave è senza dubbio “Serro la serpa”, la quale nel passato era raggiungibile attraverso una mulattiera impervia che negli ultimi anni è stata sostituita da una strada provinciale bene asfaltata.
In essa si trovano alcuni tipi di pietra di grande consumo: “favaccio”, “favacceto”, e in quantità minore “la pietra rosa”, detta anche paglina. La pietra “piombina o grigia”, invece, si trova nella Piana dell’Incoronata. Piuttosto scarsa, infine è “la pietraia arsicola”, così chiamata perché è reperibile nella zona percorsa dai torrente Arso. Le varie fasi della lavorazione della pietra sono: l’estrazione, il trasporto, la preparazione, l’abbozzatura e la rifinitura.

Nel passato la pietra veniva estratta con mezzi e metodi piuttosto primitivi. Un gruppo di scalpellini, giunti sulla cava, scavava fino a quando non veniva alla luce un buon masso, nel quale veniva praticato un foro della larghezza di tre centimetri e di una profondità proporzionata alla mole del masso stesso. L’operazione veniva eseguita da due persone: una reggeva uno “stampo”, l’altra vi batteva sopra con una “mazza di ferro”. Successivamente nel foro si introduceva della polvere da sparo, che veniva accesa mediante una miccia: lunga una ventina di centimetri. Con l’esplosione che ne seguiva si ricavavano i blocchi pronti per la lavorazione.

Oggi invece si servono di seghe e martelli pneumatici e per la “mantellatura” e per le cornici di lucidatrici e flessibili. Per la rifinitura si usava e si usa tuttora lo smeriglio, la pomice, il piombo, l’acido ossalico che serve a dare il lucido al blocco.
Dalla sommaria descrizione che si è fatta delle varie fasi della lavorazione della pietra si può ben capire come il mestiere dello scalpellino non sia per niente facile.
Molti, infatti, sono i sacrifici e i rischi cui gli scalpellini vanno incontro: essi devono alzarsi presto la mattina per andare in montagna, affrontando la pioggia e il vento;  nei laboratori facilmente possono essere feriti da schegge di pietra; sono soggetti, inoltre agli infortuni non infrequenti dovuti al cattivo funzionamento delle macchine, nelle cave, infine, dopo l’esplosione di una mina, rischiano di rimanere schiacciati da un blocco precipitato dalla montagna.
Al riguardo, ricordiamo che la categoria degli scalpellini, ha avuto anche la sua vittima: nel maggio del 1950 Silvio Restaino, in giovanissima età, periva tragicamente in seguito alle gravi ferite provocate dalla caduta di un masso rotolato dalla cava “Serro la serpa” dopo l’esplosione di una mina.

Nonostante ciò, i nostri “mastri” si sono dedicati e continuano a dedicarsi con grande passione a questo mestiere, dando prova di bravura professionale oltre che di laboriosità e di sacrificio. In ogni paese della nostra provincia, in varie regioni italiane, in alcuni Stati europei ed extraeuropei, nel passato e nel presente, essi hanno eseguito lavori apprezzati per la loro precisione: ponti, portali, caminetti artistici, mortai, colonne, capitelli, monumenti, sculture varie.
Il turista che arriva a S. Andrea può ammirare nella piazza principale “Il leone”. Esso è sistemato alla sinistra della fontana quasi a sottolineare l’importanza che la pietra e l’acqua hanno avuto per la economia del nostro paese. Un tempo questa scultura, eseguita in epoca sconosciuta da un autore ignoto, era incastonata nella torre campanaria della Chiesa Parrocchiale.
Un’altra opera, di cui non siamo in grado di indicare l’autore, è “La fontana” che abbellisce il giardino dello Episcopio: oggi essa è in rovina e coperta di cespugli spinosi, ma ci auguriamo che venga restaurata “quanto prima.
Tra i tantissimi artisti della pietra (una ventina di anni fa se ne contavano più di cento) alcuni si distinsero in modo particolare. Tra questi merita di essere ricordato Francesco D’Angola (1878-1956). Il suo primo lavoro fu il prospetto della sua casa, in via S. Marco. Esso è costituito da una balaustra con mensole in pietra, dove si notano teste di draghi e da un timpano anch’esso ricco di rilievi. Il cornicione è tutto di pietra “massello” con rifiniture sia nelle cornici che nei bassorilievi. Seguirono altri lavori, come il palazzo di Don Fabrizio Laviano in Pescopagano (PZ) e il palazzo Pastore in Melfi (PZ). Dopo la prima guerra mondiale, nel 1922, l’Amministrazione Comunale di S. Andrea gli dette l’incarico di costruire il basamento del monumento dedicato ai caduti.

Nel 1928, su incarico del prefetto di Avellino, dott. Zampagliene, esegue “Il lupo”, simbolo della nostra provincia, che venne mandato alla Mostra Campionaria di Milano: come riconoscimento ebbe una medaglia d’oro.  Altre due medaglie d’oro gli valsero, rispettivamente alla Mostra Campionaria di Milano e quella di Firenze, i busti dell’arcivescovo Giulio Tommaso del papa Pio XI: un tempo essi adornavano il giardino del Seminario, mentre oggi si trovano all’interno del Seminario stesso. Dello stesso autore segnaliamo un capitello corinzio e soprattutto un bassorilievo in pietra “massello” che doveva essere montato sull’architrave di un portone nobiliare: esso rappresenta due “putti” che sorreggono un grande stemma di famiglia.
L’eredità di Francesco D’Angola è stata raccolta dal figlio Michelangelo, tuttora in attività, che ha sentito cosi forte in sé la vocazione per la lavorazione della pietra da trascurare la sua professione di geometra. Egli, pur non rivelando l’estro del padre, ha eseguito alcuni lavori che hanno meritato riconoscimenti in provincia e fuori. Delle sue opere ricordiamo, oltre a colonne, a rivestimenti di chiese e di tombe gentilizie, a caminetti artistici, a tavolinetti finemente lavorati, soprattutto una rappresentazione celebrativa del MEC:
essa è costituita da un basamento in pietra massiccia sormontato da una colonna piramidale, alla cui estremità è appoggiato un pannello ovoidale, sul quale, con opportuni intarsi in pietra di vari colori di provenienza locale, a mo’ di mosaico, sono rappresentati i primi sei Paesi che aderirono al MEC

Un altro grande artista da ricordare è Michelangelo D’Angola (1915-1943). Dopo le scuole elementari egli frequentò a Lauria (SA) un corso di qualificazione professionale della durata di quattro anni. Le condizioni economiche della famiglia non gli consentirono di iscriversi alle scuole superiori, ma il suo amore per la cultura fu tale da fargli conseguire, da autodidatta, il diploma di geometra. Le sue capacità morali e intellettuali trovarono realizzazione soprattutto nell’arte della pietra, che egli seppe plasmare e animare come pochi. Di lui si possono ancora ammirare, nella bottega del fratello Severino, anche lui scalpellino, numerosi lavori. Particolarmente riusciti sono due capitelli corinzi, una colonna a spirale e soprattutto un basso-rilievo che rappresenta il busto di Mussolini.
Si devono ricordare ancora vari altri bassorilievi, che rappresentano scene sacre: di essi, però, sono rimasti solo i modelli in argilla, in quanto le opere eseguite in pietra furono a suo tempo montate sulle pareti di cappelle gentilizie. Coloro che apprezzarono le sue notevoli attitudini, giurano che davanti a lui si sarebbero aperte le porte di un successo artistico più vasto, se le bombe della guerra non gli avessero stroncato la vita in quel fatidico 23 settembre 1943.
Tantissimi altri scalpellini del passato meriterebbero di essere ricordati. Ne elenchiamo solo alcuni: Cignarella Nunzio, D’Angola Nicola, D’Angola Luigi, Giorgio Francesco, Giorgio Antonio, Giorgio Giuseppe e Pasquale, Mauriello Giuseppe e Michelangelo, Pomello Antonio, Vallarlo Pompeo (famoso è il detto san-tandreano: “La precisione di Pompeo Vallarlo”). Le loro botteghe furono “palestre” per tanti giovani; da esse uscirono lavori eccellenti, che noi non possiamo documentare esaurientemente perché si trovano in altri paesi della nostra provincia.

I “mastri” ancora in attività sono ormai pochissimi. Il laboratorio di Donato D’Angola, che pure alla Mostra d’Oltremare di Napoli del 1961 ricevette una medaglia d’oro come riconoscimento per un caminetto artistico, da alcuni anni ha interrotto ogni attività.�
Continuano a lavorare, invece, gli scalpellini riuniti nella cooperativa “La Precisa”, che sono molto bravi e apprezzati in tutta la provincia per i loro lavori: caminetti, statue, colonne, cappelle gentilizie, portali, stemmi di famiglia, monumenti. Tra le loro opere segnaliamo l’obelisco, alto dieci metri, fatto costruire dall’Amministrazione Comunale di Teora per i caduti in guerra, ed ancora una vasca ovale con un busto centrale, che rappresenta la Madonna fatta costruire dall’Amministrazione Comunale di Bagnoli Irpino.
Sono ancora da ricordare il laboratorio gestito da Vito Bellino e quello di Edmondo Mauriello, che però lavora a Teora.
Non mancano altri artisti della pietra che sono, però, pensionati o vicini alla pensione. Camminando per le strade del paese, capita di vederne qualcuno. Fra di essi una menzione particolare va fatta per Leonardo Bellisario, attualmente residente a Genova. Sebbene in pensione da alcuni anni, egli non ha dimenticato la pietra, ma continua a lavorarla per hobby. Trascorre il suo tempo libero a scalpellare sul balcone del suo appartamento genovese, spesso tra le lamentele dei coinquilini disturbati dal ticchettio dello scalpello. Le sue sculture sono moltissime: le migliori sono state vendute in

Germania, dove ha lavorato per alcuni anni. Nella sua casa di S. Andrea abbiamo potuto ammirare lunghissime catene in pietra, una colonna a spirale sormontata da una coppa, una colonna sormontata da un capitello corinzio, la scultura di un cane e soprattutto alcune miniature veramente riuscite; tra di esse ricordiamo: “Un toro”, “Un leone” che fa da portaccendino e numerosissimi sarcofaghi, i cui coperchi sono sormontati da minuscole sculture di aquile, di cani, di dinosauri ed altri animali.
Un altro “maestro” della pietra da ricordare, e del quale già si è fatto cenno, è Severino D’Angola, attualmente residente in Svizzera. Fra i suoi lavori possiamo ammirare un bellissimo caminetto in pietra locale e stile moderno, un’artistica lumaca e un vaso con coperchio pure essi in pietra, nonché, in argilla, una testa di donna morente, dall’espressione intensa e profonda che l’artista ha suggestivamente intitolata “Tramonto”.
Questa attività, così gloriosa per il nostro paese, è destinata a scomparire. Negli incontri avuti con gli scalpellini di S. Andrea abbiamo avuto modo di leggere nelle loro parole, sui loro volti e soprattutto sulle loro mani callose i segni della stanchezza e della sfiducia: in fondo sono orgogliosi del lavoro svolto; non accennano minimamente al desiderio di abbandonare l’attività; fanno sentire però, la loro amarezza perché nessuno ormai è più disposto a raccogliere la loro eredità fatta di sacrifici; di sudore e, perché no, di arte.

Quali le cause della crisi del settore della pietra?

Innanzi tutto, come affermano gli stessi scalpellini, la moderna tecnologia che va sostituendo il lavoro manuale. Va poi ricordato che i giovani sono sempre meno disposti a scegliere mestieri “che sporcano”. Anche quelli che si rivolgono al mondo del lavoro preferiscono mestieri più facili: saldare o verniciare è molto più semplice che lavorare la pietra.

Cosa fare, dunque, perché questa tradizione culturale non scompaia definitivamente?
Noi pensiamo che una funzione importante spetti alla scuola. Qualsiasi iniziativa, infatti, che piova dall’alto e che non sia sostenuta dalla necessaria predisposizione dei giovani, non servirebbe a risolvere il problema. La scuola, pertanto, dovrebbe stabilire un rapporto più stretto con l’ambiente in cui opera, per coglierne le proposte culturali, per rielaborarle, per farle proprie. Un’opera di sensibilizzazione così intesa servirebbe a promuovere nei giovani un’educazione più completa ad assicurare la continuità culturale tra il passato e il presente.

Brano tratto dalla rivista:
“La Fonte”
Redatto da
Giuseppe Andreone
Maria Antonietta Bellino
Maria Antonietta Frino
Maria Grazia Perriello
Classe III B
Anno Accademico 1978/79

 

 L’ultimo scalpellino